L’abolizione delle province: una svolta concreta dopo tante false promesse. Meglio tardi che mai. O e’ gia’ troppo tardi?

01-08-2013
Ufficio Stampa
Finalmente.
Bravo Delrio.
Queste le prime parole che immediatamente mi sono uscite nell’apprendere la notizia del disegno di legge cosiddetto “Svuotaprovince” che il Ministro Delrio ha presentato venerdì scorso al Consiglio dei Ministri.
Finalmente il profilarsi di una svolta concreta nell’orizzonte – molto fosco – di tutte quelle “riforme annunciate” e fragorose a cui ci siamo tristemente abituati, poi troppo spesso destinate a cadere nel vuoto.
L’altra cosa che ancora  ho pensato – senza voler peccare di presunzione - è stata
“ma  io l’avevo detto”. L’abolizione delle province, infatti, era uno dei temi principali di quel mio documento -  datato 2005,  integralmente inviato alle più alte cariche istituzionali e poi  pubblicato per alcuni stralci su alcune testate fra cui la Gazzetta di Parma - nel quale formulavo proposte concrete per l’abbattimento dei costi della politica, tema nel mirino da tanti anni, ma per il quale non sono mai state adottate misure organiche ed incisive.
Tornando in particolare all’abolizione delle Province - anche a sostegno del progetto Delrio,  che dà una svolta a quella sequenza di incoerenti e falsi tentativi dei precedenti governi - è bene ricordare che il loro ciclo vitale era destinato a concludersi già dal 1970, anno in cui furono istituite le autonomie regionali .
Sono i Comuni le cellule politico- amministrative percepite in maniera più immediata dai cittadini, i nodi su cui scorre la linfa vitale del nostro Paese, la riforma Delrio li valorizza e restituisce loro un giusto ruolo.
L’abolizione delle  Province - che già nel 2005 definivo “ente inutile”,  in quanto “anello intermedio” anacronistico  fra Regioni e Comuni , che spesso genera confusione, appesantisce la burocrazia ed è titolare di competenze che in alcuni casi duplicano o triplicano quelle di Regioni e Comuni – rinsalderebbe anche il legame fra questi ultimi e lo Stato.
 A seguito della loro abolizione si potrebbero mantenere in vita solo quegli uffici essenziali aventi funzioni di coordinamento, mentre il restante personale verrebbe riassorbito da Comuni e Regioni  : sparirebbero così tutti i costi di funzionamento legati agli immobili sede degli uffici (che tornerebbero disponibili per essere alienati o destinati a finalità sociali), così come quelli per le indennità agli  amministratori, per le commissioni e le figure dei vari segretari personali, comunemente definite “portaborse”. L’abolizione delle Province significherebbe un risparmio di  15  miliardi l’anno (circa l’1% del PIL).
Un plauso inoltre a Delrio quando porta avanti quel concetto di “cooperazione” fra gli Enti di vario livello sul quale necessariamente devono incardinarsi le riforme, che si sostituisce a quelli di “frammentazione”, “duplicazione” e spesso “sovrapposizione” di cariche e funzioni, che moltiplica i costi, ma non solo. Che crea quel reticolato di feudi di potere piccoli e grandi spesso inquinati da dannose connivenze e clientelismo.
E’ “unione” la parola d’ordine per il futuro delle autonomie locali e regionali.
Unirsi per razionalizzare costi, confrontare idee e costruire progettualità condivise, sinergie di ampio respiro, dotarsi di più qualificate professionalità,  superando quella mentalità – retaggio culturale anacronistico – legata a strette logiche di campanile che di questi ultimi fanno piccoli ed arroccati centri di potere.
Speriamo che questo disegno di legge possa essere accolto e faccia  un po’ da  “apripista” di  un più ampio progetto di riforme strutturali  dell’attuale assetto del sistema Paese, ad iniziare dalla riduzione del numero dei parlamentari, dei costi dello Stato, fino ad un auspicabile accorpamento di alcune Regioni, che spesso sono centri di spreco di pubbliche risorse.
Un progetto non più garantista di poteri e privilegi ma coraggiosamente orientato al bene comune.
La politica non deve essere una “spiaggia” ove in troppi soggiornano in virtù di logiche partitiche che mirano a garantire privilegi e lavoro ai propri militanti. Stiamo pagando duramente decenni di politica condotta quanto meno con leggerezza e scarsa lungimiranza. E’arrivato il tempo del rigore.
Solo dando questo esempio i nostri legislatori si riguadagneranno la stima e la fiducia della gente. Solo così la politica italiana  potrà tornare ad affrancarsi.